Sunday, April 29, 2012

Carolyn Christov-Bakargiev & Nadja Sayej - "Piedone a Hong Kong - Documenta?"









>>>>Caso Sayej - Bakargiev.
Nadja Sayej, in un suo post online, osserva che nel press-CD di Documenta 13 ci sono più foto della curatrice Bakargiev che opere d’arte.

Le 19 fotografie Bakargiev contenute nel press kit per la stampa indubbiamente sottraggono spazio alle opere degli artisti esposti a Documenta13.
Possiamo definirle opere d'arte “simulate” sostituto-surrogato di quelle autentiche?
Certo non si tratta solo di ritratti patinati. Mimano cliché visivi tratti dalla cronaca, sembrano ibridi tra dilettantesche trash gallery di facebook e gesti simbolici da tela seicentesca, grottesco-reality sommato ad atteggiamenti teatrali di dubbio gusto.
Di fatto esse presentano, in quanto surrogati delle autentiche opere d'arte, iconografie e motivi tratti dalla storia dell'arte.

La curatrice ridente che mostra i suoi tesori come la popolana al mercato ricorda tante nature morte col medesimo soggetto.
I piedi svettanti in primo piano? “San Matteo” by Caravaggio.
CCB throning? Velasquez + tronisti televisivi.
La smorfia della Bakargiev working hard grida a gran voce seicento napoletano + Cronaca Vera.
“Piedone a Hong Kong – Kassel"
Insomma, i Curator Porn sanno quello che la stampa vuole e glielo danno in abbondanza: stereotipie, facce sorridenti e rassicuranti, immagini "veriste", non opere d'arte, ma simulacri. Inoltre, gestualità claunesca e smorfie ilari rivelano la preoccupazione di introdurre elementi di comunicazione mainstream in schemi culturali che proprio verso la cultura mainstream hanno costruito un enorme pregiudizio, un pregiudizio alimentato dalla bolla separata delle istituzioni d'arte di stato dove il pubblico è solo passivo spettatore.

L'esercito di faccine ridenti dei Curator Porn (ma io preferirei chiamarli cur-attori) si è inserito parassitariamente nei dispositivi divulgativi che collegano gli artisti alla stampa, ai giornalisti (che non devono essere confusi con il pubblico dell’arte) affermando un’ambigua iconografia stile verismo. Ridendo ci persuadono che va tutto bene, rassicurano. Il loro non è protagonismo ma parassitismo, mettono in ombra il ruolo sociale dell’artista, impediscono alle opere di essere fruite e arrivare alla gente. Si tratta senza dubbio di una produzione “figurativa” (dato da sottolineare) tanto costruita quanto inautentica. Ebbene, lo smile rieccheggia la pittura di genere, l'arte di propaganda, mentre il cliché formale e la postura della sequenza frontale ritratto-trono-cane richiama ancora Velasquez, quindi i dispositivi di comunicazione di un potere gerarchico assoluto. Il cane resta cane anche vicino ad un principe. Nel caso 19-Bakargiev autocompiacimento e autoindulgenza arrivano a inscenare (non si sa quanto consapevolmente) dei rozzi tableau vivant citazionisti.

Il cerchio si chiude. L'artista visivo, in quanto inquietante portatore di un'alterità radicale rispetto al linguaggio verbale, viene rinchiuso negli zoo-Biennali, zoo-Quadriennali, zoo-Documenta, nelle gabbie (anche dorate) dove tutto può succedere senza lasciare traccia. Fuori, nella realtà, arrivano i curatori e funzionari guardiani dello zoo (portatori del linguaggio verbale), i cur-attori con le loro opere simulate, immagini a grado zero di artisticità che qualsiasi tabloid da quattro soldi potrebbe sbattere in copertina.