Saturday, June 27, 2015

Giovanni Matteucci #2: i salvagenti filosofici dell'ex studente


>>>un ex studente di Giovanni Matteucci è intervenuto nella discussione già citata nel blog Tranqui2 cercando di soccorrere le bislacche teorie del filosofo docente Università di Bologna.
Gentile Inchierchia, apprezzo la sua capacità argomentativa e la correttezza di firmarsi nomen + cognomen piuttosto che nick + name ma, mi creda, è inutile lanciare salvagenti filosofici di salvataggio a una zattera estetica che affonda.
>>>dobbiamo metterci d'accordo sui termini che utilizziamo per definire i fenomeni presi in esame ancora prima d'interpretarli. Quella che Matteucci implicitamente considera pittura non lo è assolutamente in quanto ascrivibile all'ambito delle pratiche pittoriche dell'arte contemporanea (e non solo perché il pittore non è dominatore dei materiali). Lo spostamento di argomenti attuato da Matteucci (non dai commentatori del thread) risiede nella terminologia impropria; i suoi modelli classificatori possono essere considerati validi al massimo per un'idea di pittura-pittore letteraria feuilleton o (forse, non sempre) per il manierista da cavalletto che produce opere funzionali al mercato turistico (ma un tale Giacomo Guardi produceva "quadretti" destinati a tale circuito).
Partire da tali cliché letterari attinenti all'ambito del romanzo, del teatro, del libretto operistico per arrivare poi con un salto mirabolante (come lei stesso Inchierchia fa) alle “pratiche artistiche contemporanee” costituisce, appunto, un errore di metodo. Stiamo parlando di romanzo ottocentesco, di souvenir turistici o di arte visiva? La critica d'arte arriva molto dopo tali grossolane semplificazioni.
In "Leggere è un rischio", un critico letterario autentico come Alfonso Berardinelli correttamente afferma: "La critica non ha niente di normativo e usa le definizioni generali solo per arrivare alla descrizione del caso singolo".
>>>in sostanza Matteucci finisce per commettere gli errori che la sua stessa teoria di "campo dell'arte" vorrebbe stigmatizzare: la sclerotizzazione dei fenomeni e il renderli paradigmatici talvolta persino retrospettivamente, errore certamente mutuato dall'anti-metodo di tanti funzionari dei “musei contemporanei” che avvelenano l'arte italiana da decenni. Lo ripeto: Matteucci resta vittima delle manipolazioni intenzionali di costoro come lo siamo noi artisti che facciamo ricerca artistica autentica e non intrattenimento museale...
>>>per altri esempi di spostamenti di terminologia dell'arte rinvio i lettori del blog alla mia recensione del saggio "Arte contemporanea" edito dal Mulino che nella sezione "Quanto capiamo dell'arte antica?" contiene sequenze multiple di spostamenti...
>>>La critica d'arte intesa quale disciplina ordinatrice arriva molto dopo la semplice individuazione dei fenomeni.
Lei scrive ”Non si tratta insomma di classificare o catalogare le arti”. Quali arti? L'arte pasticciera dei trionfi da tavola in cui anche un Bernini e altri eccellevano? Per individuare i fenomeni (non per classificarli od organizzarli in un’accezione di attribuzione di valore) Matteucci utilizza una terminologia mutuata dalla critica d'arte. Quella utilizzata da Matteucci per focalizzare “oggetti estetici” è una terminologia spostata, qui risiede il suo errore di categorizzazione. Il pittore Mario Cavaradossi, personaggio della Tosca, va collocato nell'ambito del libretto operistico e della storia del teatro non certo nell'arte visiva ma tale distinzione non rientra nella critica d'arte, la precede.
Matteucci:
“Il passaggio che sottolinei dall’estetica del cercare all’estetica del trovare – è stato elaborato seguendo
sollecitazioni che provengono direttamente dalle esperienze
contemporanee dell’arte”, “Mi sembra che esprima efficacemente una trasformazione che ha subito la concezione della creatività nel corso dell’ultimo secolo. A un’idea secondo la quale chi crea va autonomamente e liberamente in cerca di materiali di cui disporre con dominio assoluto per renderli veicolo della propria ispirazione, è subentrata tendenzialmente un’idea di creazione che tiene in massimo conto i vincoli posti.
“La dimensione performativa – in termini più compromessi, se si vuole: spettacolare e spettacolarizzata – che è sempre più accentuata nelle pratiche artistiche contemporanee (due casiemblematici: il passaggio dalla pittura alla videoarte e quello dalla scultura all’installazione) mi sembra che testimoni appunto questa metamorfosi della creatività”.
Chiarissimo qui il processo affabulatorio derivato dal metodo antistorico della critica contemporanea che costruisce delle narrazioni sulle prassi e tecniche artistiche che “diventano” altre tecniche, comparando “oggetti estetici” disomogenei. Matteucci fa narrazione pura quando favoleggia sul "passaggio dalla pittura alla videoarte e quello dalla scultura all’installazione": si tratta di pratiche diverse e non di generi artistici, quindi sono discipline autonome ed è errato porli in una prospettiva in divenire. Non stiamo discutendo di teorie artistiche, di poetiche militanti o di definizioni generali vs. caso singolo né di attribuzioni di valore ecc, Matteucci, come tanti teorici, proietta sull'arte visiva i suoi schemi di verbalizzazione. Quando ritiene “La dimensione performativa” - “sempre più accentuata nelle pratiche artistiche contemporanee” tesse delle narrazioni su oggetti estetici disomogenei, pone Cavaradossi vicino ad Abramovic.
>>>post in progress >>> testo e correzioni in via di stesura

Thursday, April 9, 2015

WALTER BENJAMINO - L'OPPERA D'ATTE IRRIPRODDUCIBBBBLE E'



>>>I lettori che seguono il blog possono facilmente intuire quali siano le mie obiezioni alle tesi di Benjamin esposte nel celebre saggio. Egli inciampa in errori assai comuni in quei teorici privi di una conoscenza diretta delle tecniche artistiche. Mi limito a poche osservazioni.

>>>L'opera è sempre stata riproducibile e riprodotta tecnicamente anche su larghissima scala. Le prove più persuasive di tale evidenza le troviamo già nell'arte antica, dalla ritrattistica statuaria fino alle repliche romane di modelli ellenistici. Non va dimenticato che pittura e scultura vanno di per sé intese quali tecniche, non generi artistici; il percorso che dalla tecnica conduce al genere (e oltre) è un tracciato lungo, articolato. Quindi la "copia" di una scultura ne rappresenta la "riproduzione tecnica" più che una "copia artistica". 
La copia artistica differisce dal modello originale, ne crea un d'apres interpretativo.

D'altro canto, la riproducibilità tecnica precede quella meccanica e tecnologica; il dato manuale - o di relazione tra corpo e strumenti/medium - che corrisponde all'intenzionalità di chi sceglie un soggetto da dipingere, fotografare o riprodurre permane (frazionata in impercettibili, minimi passaggi) financo nelle tecnologie contemporanee più sofisticate, nel clic di un computer o di una macchina fotografica.

Analoghe considerazioni si prospettano allorché prendiamo in esame il concetto di aura. 
Errato addebitarla alla fruizione devozionale/cultuale che essa avrebbe avuto in origine - l'opera d'arte sacra rimane tra le più riprodotte su larga scala. L'opera sacra, tranne quei casi riconducibili a eventi ritenuti miracolosi o alla devozione popolare, presenta aura (come nelle icone) in quanto fedele e metodica "riproduzione" di una matrice, oppure essendo fruita e utilizzata quale inerte supporto materiale di una dimensione trascendente. 

Viene così a delinearsi una conclusione opposta a quella di Benjamin: l'aura laica stigma di originalità ideativa trova, attraverso numerosi passaggi, una sua definitiva precisazione nel Rinascimento parallelamente all'emergere del ruolo sociale dell'artista divo pop, artifex "firma", mente ideativa, depositario della paternità creativa del proprio "stile", quello leonardesco, michelangiolesco, giorgionesco, ecc.... 
Il riconoscimento sociale dell'invenzione in quanto evento laico/numinoso della scoperta accompagna la consapevolezza che la corretta lettura formale di tale "evento ideativo" non verbale può avvenire in presenza del suo supporto materiale originario, fattore non eludibile come elemento integrante di un processo percettivo prima, interpretativo e conoscitivo poi, correlato appunto a una fruizione di linguaggi non verbali. 
L'aura deriva dalla corretta lettura dell'opera nelle sue evidenze formali all'interno del sistema binario dettaglio + insieme. Quando il sistema binario interno viene interrotto (come in talune pratiche installative), il linguaggio verbale ritorna egemonico rispetto a quello visivo supplendo la funzione "dettaglio" o quella "insieme"...

>>>attenzione - testo in via di stesura

Saturday, March 7, 2015

Lost Treasures Of Italo-Disco 3 :) Mothball Records

https://www.youtube.com/watch?v=3ttJmP2S2oM

Differente dai precedenti, Lost Treasure 3 dell'australiana Mothball Records è una sorta di italo-lounge. Il #1 conteneva il brano Ombretta "Pianeta", praticamente incollocabile in quanto genere musicale, ed anche qui non mancano gemme aliene sulla stessa linea. 

Questa forma di Italo-disco che sviluppa uno schema fisso minimo come contenitore di variazioni imprevedibili ha un significato per ciò che ho cercato di teorizzare nella "Fabula Architecture", sistema che pensa la struttura formale quale variazione inscritta in una griglia neutra, così includendo le influenze più disparate.
"Fabula Architecture", più che l'ennesimo stile architettonico, vuole essere uno schema/metodo capace di includere diverse variazioni stilistiche persino distantissime. Variazione - nozione alternativa di "nuovo" - questione già riportata in evidenza dal postmodernismo, movimento che certi incompetenti della critica d'arte considerano un bazar di timpani e quadri citazionisti.


Thursday, February 19, 2015

IL VOLO vittima del giornalismo anti-talento


Ovvero cultura di massa e talento artistico.
Helga Marsala con l'articolo "Sanremo e i tre ragazzi antichi. Il Volo: l'ennesima vittoria facile di un super show" dà prova della consueta diffidenza delle sacche conservatrici del Paese verso i talenti artistici mainstream che per affermarsi non hanno bisogno della mediazione di certe élite chiuse in una bolla separata dai consumi pilotati.

Le argomentazioni dell'articolo sono capziose dalla prima all'ultima, proprie di un giornalismo d'arte fazioso: vogliono farci credere che l'ingenerosità verso i maggiori talenti artistici autentici ma marcatamente mainstream sia una forma di rigore intellettuale. Errato. I tre giovanissimi (dato molto importante) cantanti del gruppo Il Volo che hanno presentato al Festival Sanremo il pezzo "Grande amore" dimostrano indubitabilmente, all'interno del loro genere musicale classical crossover pop, doti vocali e interpretative. Doti che devono essergli riconosciute.

Fare pop non è mai "facile", ed è assai raro nel pop ottenere successo "facile" perché ti spingono le lobby come al contrario accade nell'arte visiva dove troviamo opere e artisti di dubbio valore, dove contano molto più i legami di salotto, famiglia, lista, baronia (e di letto), e qualche pagina di bla bla alla Bakargiev trasforma la peggior banalità stravista in capolavoro o se ti esibisci in situazioni sensazionalistiche susciti l'entusiasmo di Chiara Bertola.
I soffitti alti della villa citata dalla Marsala ci sono anche nei musei, Palazzo Grassi, Villa Panza, Rivoli, inoltre non si può parlare di cultura mainstream senza contestualizzarla nel genere di appartenenza, passaggio tranquillamente ignorato dalla "critica" (tra molte virgolette) d'arte italiana.
La scena dell'arte contemporanea istituzionale abbonda di Sanremo e super-show che tuttavia s'appellano (per dirla con Traviata) Biennale e Documenta.
L'avete visto il Premio Maxxi, con le artiste pseudosperimentali che si fanno premiare sul tappeto rosso, buone, brave, vestite bene, obbedienti come i bambini dello Zecchino D'Oro di una volta, con la supervincitrice Marinella Senatore che dichiara di essere "molto emozionata. In realtà ho lavorato tanto. Voi avete lavorato tanto" e parla di "un segnale di apertura". Il "segnale" sarebbe quello di concedere al pubblico il ruolo comparsa? Dove sta la differenza? Comici a parte, il pubblico a Sanremo conta, fortunatamente, di più. Se scegliesse unicamente il giornalismo anti-talento, la musica italiana sarebbe più noiosa della programmazione del Museo di Rivoli!
Le tecniche d'indirizzo dei consumi di massa attuate da una certa informazione fallisco, quando c'è di mezzo il giudizio del pubblico. Di qui la loro rabbia astiosa e sprezzante.

Quindi - ultraseverità e accanimento del giornalismo anti-talento contro i tre del Volo in quanto dimostrano doti vocali certe, in quanto poco più che adolescenti, in quanto incarnano l'archetipo del puer-prodigio musicale, in quanto cultura pop-classica scelta dal pubblico, in quanto il mainstream può dimostrare originalità, in quanto esempio di come il masscult può farsi divulgatore di cultura alta senza ricalcare la via del midcult.

Ciò sfugge, ovviamente, a chi sia digiuno dei retroscena delle redazioni di quotidiani e settimanali. Una Alessandra Mammì semplicemente omette da anni d'informare sull'arte contemporanea italiana che non rientra nel suo limitato orizzonte d'interessi (vedi articoli dedicati agli artisti del database "Italian Area").
Se Helga Marsala, Daria Bignardi, Michele Monina (che li definisce vecchiminkia con l'astio di un dipendente di MTV) ecc... non possono attuare la furia censoria di alcuni settori specialistici dell'informazione culturale è perché, obbedendo alla legge delle news, sono chiamati a dire la loro anche su Sanremo. Con i risultati di cui sopra. Per capire il conformismo nel quale siamo immersi è necessario che si affacci sulla scena qualche elemento disturbante. Esattamente come nell'arte contemporanea. Errato pensare che quello de "Il Volo" sia un caso isolato: in altri settori culturali il boicottaggio del talento è prassi corrente. Il talento dà fastidio a molti.

Per decodificare un fenomeno musicale marcatamente mainstream ma eclettico e dal sapore postmodern bisognerebbe saperlo situare in una prospettiva critica di genere e sottogenere, di divulgazione culturale della vocalità operistica verso i giovanissimi, quindi educativa, pedagogica. Prospettiva assente nei critici alla Helga Marsala con i suoi parametri di pensiero unico da prodotti-opere-per-musei-arte-contemporanea.

Da notare che, con le stesse argomentazioni capziose, alcuni generi artistici vengono classificati da certi pseudocritici quali prodotti di "perizia tecnica", quindi in certo senso "facili". In uno schema siffatto sono proprio certi sviluppi mainstream del linguaggio visivo a infastidire chi si vuole erigere a unico mediatore tra artisti e pubblico, tra artisti e potere. Le istituzioni d'arte sono usate in Italia come corsie preferenziali...
++++ post in progress (testo e correzioni in via di stesura)